Referendum: inaccettabile l’invito all’astensionismo

Domenica si terrà il referendum abrogativo sulla concessione delle estrazioni di idrocarburi in mare entro le 12 miglia marittime (circa 20 km dalla costa), ottenuto da nove Consigli regionali (di Basilicata, Marche, Puglia, Sardegna, Veneto, Calabria, Liguria, Campania e Molise) che hanno depositato le firme necessarie per la consultazione popolare. Il Governo ha stabilito in modo del tutto surrettizio e scorretto di non accorpare il referendum alle elezioni amministrative di inizio Giugno, non permettendo una campagna informativa sufficientemente lunga e, di conseguenza, sarà sicuramente maggiore la difficoltà per raggiungere il quorum, fissato al 50%+1 degli aventi diritto al voto; inoltre il costo di questa operazione di spachettamento raggiungerà una cifra enorme, ossia oltre 300 milioni di euro, un inaccettabile spreco di denaro pubblico, così come risulta decisamente grave e negativo, sotto il profilo istituzionale, l’invito all’astensione, quando, invece, era lo stesso Presidente del Consiglio, nonchè segretario del Pd, Matteo Renzi a richiedere a gran voce, nel 2011, l’Election Day (e, poi, criticare Bersani per non averlo ottenuto) per l’importante referendum abrogativo sull’acqua e sul nucleare. Lascia attoniti anche l’irruzione nella scena del Presidente emerito della Repubblica Giorgio Napolitano che, qualche giorno fa, ha dichiarato legittima, non una scelta incoerente con il dovere civico e non in contrasto con quanto riportato dall’articolo 48 della Costituzione repubblicana (cui recita che votare è un diritto e, appunto, un dovere) la posizione dell’astensione, in perfetta sintonia con il premier, nonostante entrambi dovrebbero essere i principali depositari delle regole democratiche. Sarebbero stati quanto meno apprezzabili, infatti, un impegno in senso opposto, che rimarcasse e non demolisse l’importanza della partecipazione popolare, costantemente in calo, e una coraggiosa battaglia a viso aperto, seppur per il “no”, accettando il rischio di sconfitta sul piano politico. Per questo, sul tema in questione, aumentano le distanze con la sinistra, in toto, con la minoranza dem, a cui si deve riconoscere il coraggio di aver rifiutato con decisione il diktat del segretario e di dissentire sulla furbesca linea di partito, e con il Governatore della Puglia, anch’esso del Pd, Michele Emiliano, da sempre contro le trivellazioni, che ha puntato il dito contro Renzi, definendolo come un venditore di pentole, il cui invito da pubblico ufficiale sarebbe potenzialmente sanzionabile per l’articolo 98 del testo unico del 1957, confermato dalla Cassazione nel 1985, che vieta la possibilità di indurre gli elettori all’astensione anche per quanto riguarda i referendum.

Recarsi alle urne significa, quindi, combattere il partito dell’astensione e della disinformazione, difendere lo strumento della consultazione popolare (tanto più se si considerano mai legittimate le riforme renziane, essendo stati stravolti il programma delle primarie Pd del 2013 e quello di Bersani con cui e per cui sono entrati in Parlamento i democratici) e cercare di impedire la riuscita del boicottaggio messo in atto da un Governo arrogante, che vive come un pericolo un esito referendario opposto a quello auspicato e preferisce non promuovere la democrazia per questo referendum sulle trivelle con il fine di evitare il pericolo di intralci ma non esita a fare campagna “pro domo sua” per quanto riguarda il referendum costituzionale dell’autunno prossimo (accusando, in modo palesemente incoerente e opportunista, come privi d’argomenti coloro che non voteranno), peraltro trasformato in senso personalistico da un primo ministro non all’altezza del ruolo che ricopre. Il motivo centrale, attorno a cui ruotano i molti altri, per non disertare le urne, però, rimane sempre e solo uno: sfruttare l’occasione per far sentire la propria voce e dimostrare che le scelte calate dall’alto, in questo caso quelle a vantaggio dei petrolieri, non sono accettate.

Votare SÌ per dire NO alle trivelle:

Entrando nel merito, il referendum coinvolge direttamente 21 concessioni (in corrispondenza a 43 piattaforme) che, in caso di vittoria del “sì”, non potrebbero più essere prorogabili (oggi possono essere prolungate fino all’esaurimento del giacimento). Una vittoria del fronte del No Triv non si tradurrebbe in un netto cambio di rotta sulle politiche ambientali (ambito in cui il Governo si è rivelato fallimentare, colpevole in primis di aver scritto il manifesto antiambientalista quale è il Decreto Sblocca Italia), come prospettato da alcuni, in quanto la reale forza del quesito non è particolarmente elevata, ma favorirebbe comunque, come passaggio successivo, investimenti maggiori nelle energie alternative e pulite in tempi più rapidi. Le prime falsità dei sostenitori del “no” o, peggio, di chi invita ad astenersi riguardano la maggiore dipendenza energetica dai paesi esteri, qualora si fermassero le trivelle, il pericolo immediato di perdita dei posti di lavoro (di cui, peraltro, non sappiamo il numero esatto) e l’assenza di tempo necessario per invertire la rotta in ottica verde: in realtà le trivellazioni riescono a coprire meno dell’1% del fabbisogno nazionale di petrolio (poco e di scarsa qualità) e del 3% di gas, in secondo luogo varie concessioni rimarrebbero in essere ancora dieci o, addirittura, diciotto anni (la prima scadrebbe nel 2017 e l’ultima nel 2034), quindi un ampio periodo utile per organizzare e compiere una necessaria e ambiziosa transizione energetica (favorendo un modello d’economia slegato dall’estrazioni di carbonio, come stabilito alla Cop21) e adeguatamente lungo per la ricollocazione dei lavoratori. Per giunta secondo quanto emerge dalla nuova edizione del National Solar Jobs Census, stilato dalla Solar Foundation, i posti di lavoro offerti dall’industria solare, in questo caso statunitense, sono nettamente superiori a quelli che derivano dall’estrazione di combustibili fossili. Certamente, poi, non risulterebbe una perdita rilevante il mancato introito da royalties, le cui aliquote di tassazione, per chi trivella in mare, sono sicuramente ridotte, tra le più basse al mondo: il 10%per il gas e il 7% per il petrolio, senza considerare le inconcepibili franchige e i notevoli incentivi indiretti; inoltre nel 2015 tutte le estrazioni, sia su mare che in terra, hanno prodotto un gettito da royalties pari a soli 352 milioni, ovvero cifra simile a quella sperperata dal Governo per aver rifiutato l’Election Day.

Fermare le trivellazioni significherebbe, dunque, per lo meno, eliminare, nelle fette di mare in questione, la presenza di sostanze chimiche scaturite dalle piattaforme, dannose per le biodiversità, infatti il reale impatto ambientale potrebbe essere notevolmente maggiore rispetto a quello segnalato dal Ministero dell’Ambiente, poichè le rilevazioni risultano non completamente trasparenti e, secondo quanto denunciato da Greenpeace, l’organo istituzionale chiamato a valutare i risultati del monitoraggio sul mare che circonda le piattaforme offshore, cioè l’Ispra, opera, paradossalmente, su committenza della società che possiede le piattaforme oggetto d’approfondimento ENI (secondo i risultati delle ricerche condotte, invece, dalla stessa ong Greenpeace e contenuti nel documento “Trivelle fuorilegge” i parametri ambientali stabiliti per legge sarebbero sforati vicino a oltre il 70% delle piattaforme). Lo stop alle trivelle permetterebbe, anche, di contrastare la subsidenza e l’erosione delle coste, ridurre a zero i rischi di disastri ambientali, seppur non troppo elevati (ma, comunque, non giustificabili) e, soprattutto, indurre il Governo a puntare su una graduale, ma di fondamentale importanza, riconversione energetica volta a tutelare l’ambiente e l’ecosistema e a scommettere su un modello di sviluppo sostenibile che combatta i cambiamenti climatici.

dalla parte del progresso AA99

3 pensieri su “Referendum: inaccettabile l’invito all’astensionismo

  1. L’ha ribloggato su tramineraromaticoe ha commentato:
    è il terzo artcolo che ribloggo sul sì al voto di domani, quanto a napolitano ho già commentato in merito: certi politici non si tacciono neppure a 100 anni , del resto, le abitudini a conclamate connivenze non si perdono.e la vergogna per certa gente è merce sconosciuta. mettici il popoli italico accidioso e belante nella maggioranza e la frittata è fatta.

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  2. Siamo al 23,48% alle 19. Se il popolo del referendum avesse partecipato alle elezioni politiche sarebbe il primo partito. Questo vuol dire che il governo non ha la “maggioranza” del Paese. Chi è contrario alle politiche del governo e si è espresso col referendum è il 23,48%, e non è ancora finita!
    Dobbiamo partire da qui per riorganizzarci. Forse. E se tutti coloro che hanno votato sì al referendum, votasse NO al referendum confermativo di ottobre, dimostreremo che non ha la maggioranza.

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