La libertà passa dai diritti: per una vera discussione sull’eutanasia ancora decenni?

L’Italia è, indubbiamente, uno dei paesi occidentali più arretrati nel campo dei diritti civili e, così come non esiste ancora una legislazione sulle unioni civili e una chiara sulla fecondazione eterologa (non più vietata dopo la sentenza della Corte Costituzionale), tutto tace sul fronte del fine vita, eppure i sondaggi sono chiari: oltre il 75% degli italiani è favorevole all’introduzione del testamento biologico e più della metà vorrebbe vedere approvata una legge sull’eutanasia (nel 2013, secondo Eurispes, erano circa il 70%), dal greco “ευ θανατος”, ovvero dolce morte. Inoltre l’Associazione Coscioni, da sempre impegnata sul tema, raccolse 100 mila sottoscrizioni per una proposta di legge durante il 2013 (più delle 50 mila necessarie per poterla presentare in Parlamento, come specificato nell’art.71 della Costituzione), ma nonostante la volontà di molti cittadini di apertura di una seria discussione e le numerose sollecitazioni da parte di Giorgio Napolitano, durante il primo settennato (soprattutto dopo il caso Piergiorgio Welby) di presidenza e il 18 Marzo 2014 in Parlamento, e di personaggi autorevoli di Camera (la stessa presidentessa Boldrini) e Senato, la politica italiana da quell’orecchio sembra proprio non averci mai sentito e aver chiuso in un cassetto la delicata tematica, per l’assenza di larghi intergruppi parlamentari d’estrazione laica (come, invece, si sta gradualmente formando per la cannabis legale) pronti a portare la battaglia fino in fondo, senza timore degli attacchi e della propaganda da parte delle istituzioni ecclesistiche, che sarebbero in prima fila per demonizzare il nuovo provvedimento (come sta accadendo anche per legge Cirinnà sulle unioni civili, già rinviata dal Governo troppe volte).

Perchè è necessaria una nuova legislazione in merito?

Il testamento biologico, cioè la dichiarazione anticipata del trattamento da ricevere in caso lo stato di lucidità mentale dovesse venire a meno durante una malattia (con la possibilità di delegare eventuali scelte ai familiari), e l’eutanasia attiva, tramite medicinali che accelerano la morte somministrati da un medico, o passiva, ovvero l’interruzione della  cura, in entrambi i casi su esplicita richiesta del malato terminale in grado di intendere e di volere, garantirebbero i fondamentali principi democratici della libera scelta, fino alla fine, e dell’autodeterminazione. L’interrogativo che dovrebbe porsi chi non è condizionato dalla religione è molto semplice: perchè un malato terminale non dovrebbe avere la possibilità di scegliere di non subire e di non prolungare sofferenze atroci e insostenibili senza speranze di guarigione? Sicuramente l’attuabilità dell’eutanasia non sarebbe messa in discussione da un numero esagerato di obiettori di coscienza e ne è dimostrazione il risultato di vari sondaggi (come quello condotto da Consulcesi nel lontano 2007), i quali ci dicono che la maggioranza dei medici sarebbe pronto ad accettare la scelta del malato, così come i collaboratori sanitari (secondo un sondaggio di Torino Medica oltre il 70% degli infermieri del capoluogo piemontese sarebbe favorevole ad una nuova legge).

Quanto bisognerà attendere per una vera discussione?

Sicuramente non è nelle intenzioni dell’esecutivo toccare il tema ed è più che probabile dover attendere parecchi anni prima che la questione riemerga e venga trattata dai rami del Parlamento per cercare di colmare il gap di progresso e diritti con la maggior parte degli stati a noi circostanti, nei quali biotestamento e almeno una tra eutanasia passiva ed attiva sono legali o depenalizzati. Per ora a cercare di limitare l’attesa non può che essere la prosecuzione di iniziative e appelli provenienti dalla società civile, trasversalmente vicina a chi deve, contro volontà, soffrire oltremisura.

dalla parte del progresso AA99