Renzi e gli espedienti per le coperture

Renzi continua con gli annunci ma le coperture scarseggiano, non scordiamoci che le clausole di salvaguardia sono sempre pronte a scattare

Oggi la necessità principale del Governo è quella di trovare una decina di miliardi entro il 2016 per non far scattare le clausole di salvaguardia, scongiurando l’aumento dell’IVA agevolata dal 10% al 13% in due anni, di quella ordinaria dal 22% al 25,5% in tre anni e l’aumento dell’accisa sul carburante per un totale di 74 miliardi di tasse in più nel triennio 2016-2018, che ancora pendono sulle teste degli italiani ed equivarrebbero a 250 euro in più a famiglia solo nel 2016, cifra simile alla media degli esborsi per l’Imu-Tasi, per arrivare ad un totale di 791 euro totali. Il disinnesco di questa bomba ad orologeria non è per niente scontato per il buco di oltre 700 milioni lasciato dalla bocciatura da parte dell’Unione Europea della Reverse Charge (l’inversione contabile) sulla grande distribuzione, per quello equivalente lasciato dall’incostituzionale Robin Tax sulle compagnie petrolifere, per la spesa di circa 2 miliardi per stabilizzazione di 100 mila insegnanti precari (47 mila entro Settembre e circa 55 mila durante l’anno scolastico) e per il bonus, costato anche questo circa 2 miliardi, che ha rimborsato ai pensionati una parte del maltolto per l’incostituzionale blocco della perequazione (la prossima grana sarà la spesa per rivalutare i contratti, bloccati incostituzionalmente dal 2009, degli statali, a partire dal prossimo anno). Oltre all’impegno di evitare questo lugubre scenario, in cui verrebbe soppressa la minima ripresa attuale, frutto soprattutto della concatenazione straordinaria, peraltro mal sfruttata, di prezzo del petrolio ai minimi, Quantitative Easing di Mario Draghi, Expò e svalutazione dell’Euro (tra poco anche il Giubileo), aver confermato di prorogare il bonus degli 80 euro e la decontribuzione per gli imprenditori che assumono con il nuovo contratto a tutele crescenti o che stabilizzano i dipendenti precari, il premier Renzi ha, qualche settimana fa, in uno stile ultraberlusconiano (tema che ho approfondito in un articolo precedente, “Il Renzusconi”), promesso l’abolizione della Tasi, cioè la tassa sulla prima casa che vale poco più di 4,5 miliardi (si arriva a 5 miliardi con l’intervento sull’Imu agricola e sui macchinari “imbullonati”), e un piano complessivo di detassazione quinquennale da 45 miliardi. In caso non fosse il solito annuncio propagandistico e decidesse di concretizzare le promesse fatte (comunque discutibile, per esempio, l’abolizione della Tasi, che varrebbe anche per i proprietari di case di lusso, e non iniziare dal rilancio delle medie e piccole imprese), il problema da porsi sarebbe da dove il segretario del Partito Democratico e il Ministro dell’Economia Padoan credono di reperire le risorse necessarie, poichè sembrano mancare, oggi come oggi, dai sette ai dieci miliardi, a causa di un errore di valutazione riguardo la flessibilità concessa sui parametri europei, per poter coprire il tutto (si prevede una manovra da oltre 25 miliardi); i tagli lineari (sfiorano solo le sacche di sprechi nel settore) di Yoram Gutgeld alla sanità per 2,3 miliardi contenuti nel Decreto enti locali (riduzione di esami e prestazioni sanitarie), approvato ad inizio mese, ci danno una chiara indicazione: la Spending Review si concentrerà, ancora una volta, solo marginalmente sui veri sprechi ma massicciamente sugli enti locali, già stremati, sul trasporto pubblico, sulla sanità, sulle detrazioni fiscali e, molto probabilmente, le microtasse aumenteranno ancora. Guarda caso il gettito della Tasi è interamente destinato ai Comuni e con la sua abolizione Renzi potrà tranquillamente scaricare la responsabilità di una ulteriore pressione fiscale o servizi scadenti sugli stessi, facendo rientrare dalla finestra le tasse uscite dalla porta. La strada dello sforamento del tetto 3% sul rapporto deficit/pil per maggiori risorse non dovrebbe essere perseguita ma in caso contrario, senza ulteriori interventi, significherebbe un maggiore indebitamento rischiando di beneficiare dell’azione solo nel breve periodo. Questi sono espedienti tutt’altro che trasparenti per ottenere le coperture necessarie, mentre non ci sono novità nel fronte della lotta all’evasione, che corrisponde a 120 miliardi di euro all’anno, il Governo continua a lasciare invariata la tassazione sul gioco d’azzardo, dalla quale si potrebbero recuperare addirittura più di 12 miliardi con l’aliquota al 27,5% (com’era nei primi anni del 2000), così come non viene nemmeno valutata la proposta di legge sulla legalizzazione delle droghe leggere (anche su questo piena sintonia tra Renzi e Giovanardi), che porterebbe nelle casse dello Stato fino a 8,5 miliardi l’anno (per la tassazione su produzione e vendita). Nel frattempo l’Italia cresce solo dello 0,2%, contro uno 0,8% della Grecia, la disoccupazione generale ricomincia a crescere, quella giovanile (al 44,2%) e debito pubblico sono ai massimi storici, il Sud è abbandonato al proprio cupo destino e ancora migliaia di imprese aspettano il pagamento dei debiti da parte della Pubblica Amministrazione, infatti almeno un terzo di questi rimane ancora congelato (Renzi promise che entro Settembre 2014, circa un anno fa, sarebbero tutti stati saldati); interventi da 5/10 miliardi di detassazione non bastano assolutamente. La miriade di slogan di Renzi da #Italiariparte a #lasvoltabuona cozzano profondamente con la realtà dei fatti, per questo il PD, secondo alcuni sondaggi, potrebbe essere finito, anche a causa del mal di pancia di una fetta di elettori di sinistra che non si riconosce nelle pessime riforme da DC 2.0, negli attacchi continui e dialogo inesistente con la minoranza dem e nell’alleanza con Verdini, addirittura sotto il 30% dei consensi (-11% rispetto al risultato ottenuto alle Europee del 2014).

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Gli stupidi sprechi d’oro made in Italy

Tra la miriade di sprechi miliardari dello Stato su cui non è mai stata fatta spending review (mentre si è preferito tagliare selvaggiamente sui servizi pubblici e sugli enti locali) ce ne sono alcuni facilmente individuabili e “tutti italiani” che rivelano evidentemente l’incompetenza diffusa della nostra classe dirigente. Il primo spreco incredibile riguarda il premio produttività offerto all’esercito dei 48000 manager pubblici: mentre in Inghilterra (e similmente negli altri paesi del nord Europa) solo il 25% dei manager raggiunge il premio produttività, legato al raggiungimento di obiettivi meritocratici, in Italia quasi la totalità dei manager pubblici lo riceve (oltre a stipendi per lo più esorbitanti), in quanto gli obiettivi corrispondono, ad esempio, al numero degli atti firmati, alla disposizione delle scatole della documentazione o al numero dei consigli indetti (totalmente slegati dal merito e facilissimi da raggiungere). Questa anomalia è stata approfondita nella trasmissione, condotta da Milena Gabanelli, Report a fine dello scorso Aprile, in cui è stato rivelato che il totale dei premi produttività ammonta a 800 milioni di euro l’anno e di questi almeno 600 sarebbero letteralmente regalati. Addirittura è stato scoperto che in Piemonte uno dei criteri per raggiungere il bonus corrispondeva al dovere del manager di far visitare agli altri dipendenti pubblici l’interno di un palazzo comunale in costruzione. Dopo questa centinaia di milioni buttati dalla finestra non si può che alzare l’asticella dello spreco, passando alla spesa d’affitto evitabile per le sedi amministrative statali. Nonostante abbia patrimonio immobiliare inutilizzato in abbondanza (al 2007 erano migliaia gli edifici pubblici caduti in disuso, oggi sicuramente di più, che peraltro, senza considerare quelli di proprietà dei comuni, se fossero stati valorizzati avrebbero fruttato oltre 5 miliardi di euro), la Pubblica Amministrazione italiana è stata in grado di affittare oltre 11000 immobili di proprietà di terzi per una spesa complessiva di un miliardo e duecento mila euro l’anno (al netto delle spese per la manutenzione, cioè altri 300 milioni). Al primo posto di questa non invidiabile classifica degli sprechi più evidenti del nostro Stato si trova sicuramente la grandissima capacità made in Italy di non spendere miliardi di finanziamenti europei, o farlo male. Per la Programmazione a sostegno dello sviluppo economico e dell’occupazione 2007-2013 sono stati messi a disposizione dai Fondi strutturali (la maggioranza arrivano dall’Unione Europea, il resto è cofinanziato) 47 miliardi di euro, per ora ne sono stati spesi solo 35, cioè il 74%; i 12 miliardi inutilizzati (10 miliardi per il rilancio del Sud) dovranno essere spesi da Stato e regioni, e essere redicontati, entro fine anno, in caso contrario risulteranno persi (dovranno tornare a Bruxelles). Difficilmente verranno spesi tutti (oppure lo saranno senza criteri per non perderli) in soli sei mesi visto che negli ultimi due anni ne sono stati utilizzati rispettivamente 5,7 miliardi e 7,5 miliardi, molti di questi sperperati e investiti per la realizzazione di opere incompiute. L’Italia è, purtroppo ma inevitabilmente, tra gli ultimi tre o quattro paesi europei per efficacia nella spesa delle risorse. Questi tre sprechi sono, come scritto in precedenza, solo alcuni su cui bisognerebbe mettere mano immediatamente (anche se sui fondi europei la gestione talmente mediocre negli anni precedenti impedisce rimedi in extremis). La nostra classe dirigente dovrebbe sapere che ogni spreco, piccolo o grande che sia, ogni privilegio insostenibile in questo momento di lunga e grave crisi (le centinaia di milioni per le auto blu o gli almeno sette miliardi per pensioni d’oro e vitalizi) e ogni sussidio inutile (quelli per le trivellazioni in primis) ricade sulle spalle dei cittadini italiani in imposte e il dovere di tagliarli radicalmente, senza toccare servizi pubblici o ammortizzatori sociali, deve essere al primo posto. Spending review , ci auguriamo per ora, bocciata.

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Spending review: mai stata fatta sui veri sprechi

Dall’inizio della crisi in Italia la “mitica” spending review (revisione della spesa pubblica) non è stata attuata sugli sprechi e inefficienze da nessuno dei tre governi (Berlusconi, Monti, Letta) che si sono succeduti, più quello attuale, ma hanno preferito colpire i servizi, inefficientandoli maggiormente. Tagli, nel nome dell’efficientamrnto della spesa pubblica, all’istruzione con la riforma Gelmini, alla ricerca, all’intera pubblica amministrazione attraverso molteplici licenziamenti e blocco dei contratti (dal 2009), tagli indiscriminati alla sanità, al sistema ospedaliero e ai posti letto, ai fondi per la disabilità e non autosufficienza, alla vitale spesa in conto capitale (investimenti a fini produttivistici), alle pensioni minori, agli enti territoriali (soprattutto nell’ultimo periodo, attuati dal governo Renzi), alle tax expenditures (detrazioni e deduzioni) e al trasporto pubblico. Miliardi di tagli (in parte chiesti dall’UE per avere liquidità immediata per pagare i creditori e ridurre il debito) e politiche restrittive che hanno solamente indebolito il welfare, aumentato la recessione e peggiorato la situazione di grave crisi economiche. Non sono mai stati tagliati, o solo in maniera parziale, spese militari e nuovi armamenti, spesso inutili (anzi, i cacciabombardieri f35, che probabilmente verranno acquistati tutti, costeranno ai cittadini italiani 12 miliardi), vitalizi, pensioni d’oro (a causa del sistema retributivo spesso sono il doppio, o quasi, rispetto a quanto versato) e pensioni triple e quadruple, spese inutili sui beni intermedi, enti inutili (una miriade e costano 10 miliardi all’anno), consulenze d’oro, auto blu ospedaliere e per i politici, sussidi alle centrali da combustibili fossili e alla trivellazione (ancora molto alti, purtroppo), risorse stanziate per grandi opere inutili, costose e con forte impatto ambientale; inoltre non sono stati applicati i costi standard nella spesa sanitaria regionale e accorpate le aziende partecipate degli enti locali e i comuni sotto i 15000 abitanti. Questa serie di tagli che si sarebbe potuta fare avrebbe solamente efficientato, colpito veri sprechi e inefficienze e avrebbe fatto risparmiare più di 45 miliardi di euro allo Stato, senza licenziare o ridurre i posti letto negli ospedali. L’unico intervento positivo nella via della “buona” revisione della spesa è l’aver messo mano ai mostruosi salari dei manager pubblici, così come un buon punto di partenza per un cambiamente in questa direzione può essere il 60%/70% (tagli ai costi della riscossione, consulenze, auto blu, razionalizzazione della gestione degli immobili, fisco telematico, abolizione delle province) del piano di tagli firmato dall’ex commissario alla spending review Carlo Cottarelli, anche se è ancora limitato e non tocca grandi aree di sprechi. Quindi, concedetemi il gioco di parole, diamoci un taglio con i tagli sui servizi e sugli enti locali e cominciamo a efficientare davvero la nostra spesa pubblica.

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