Il pasticcio della (non) Buona scuola

Dal preside onnipotente al solo miliardo di investimenti stanziato per quest’anno (i paesi Ocse spendono in media il 5,7% del loro PIL per il sistema scolastico, l’Italia solo il 4,5%, dopo le ultime riforme nel nome dei tagli sulla cultura), sono vari i motivi per cui la riforma della scuola delude e non soddisfa nessuno, nè studenti e famiglie nè insegnanti e, soprattutto, sindacati, poichè non da risposte alle vere necessità e alle molte problematiche della scuola italiana. La Buona scuola, o meglio Non buona scuola, approvata il mese scorso dalla Camera dei Deputati (e ora in discussione al Senato) tra le critiche di opposizione e minoranza dem (Stefano Fassina in primis), non contiene misure per il contrasto alla dispersione scolastica (al 17%, Italia tra le prime in Europa), per garantire le borse di studio, per rendere la scuola davvero inclusiva, non sblocca il contratto dei docenti (bloccato dal 2009), i quali sono tra meno retribuiti in europa, proroga il blocco del turnover, non ripristina nemmeno una parte delle ore sottratte dalla riforma Gelmini e il tempo pieno e, soprattutto, offre pochissime risorse aggiuntive ai singoli istituiti (partendo da quelli in zone più disagiate) per investire in innovazione o per garantire progetti e il potenziamento dell’offerta formativa. La riforma Giannini, invece, conferisce maggiori poteri ai presidi (i super-presidi!) come quello di chiamata diretta degli insegnanti per assegnargli incarichi di durata massima triennale e rinnovabili, selezionabili attraverso colloqui, quello di promuovere o bocciare i neoassunti durante l’anno di prova, quello di piena gestione delle risorse umane, tecnologiche, materiali e finanziarie, quello di stabilire le supplenze fino a dieci giorni anche senza specifica abilitazione del docente e, infine, quello di poter premiare gli insegnanti meritevoli (stanziati 200 milioni), su scelta, oltre che del dirigente stesso, di due insegnanti e due genitori (un genitore e uno studente alle superiori). Questo significa un’organizzazione aziendale della scuola, o forse anche peggio, in quanto alcuni presidi potrebbero incaricare o premiare gli insegnanti senza considerare il merito, instaurando sistemi di raccomandazioni o ricatti; infatti per valorizzare realmente il merito occorrerebbe l’occhio di esperti esterni, in grado di valutare il metodo d’insegnamento, le relazioni con gli alunni e la preparazione di ogni singolo docente. Rafforzare l’autonomia di ogni istituto non significa dover dare tutto nelle mani di una sola persona, centralizzando anche quello che non lo era. L’Art. in questione, il n. 9, per ora non ha subito sostanziali modifiche, nonostante i continui scioperi (il prossimo, il più importante, sarà quello degli scrutini) e cortei, l’ ultimo dei quali venerdì scorso, per impedirne l’attuazione. La questione precari è un altro tasto dolente: sui 250 mila che si sarebbero dovuti stabilizzare (sentenza della Corte europea) la riforma prevede l’assunzione graduale di 100 mila insegnanti, escludendo tutti gli altri (se si fossero organizzati i progetti di cui la scuola ha bisogno, che ho elencato all’inizio dell’articolo i docenti, potrebbe servire il contributo di almeno 200 mila docenti, cioè il doppio di quelli che verranno stabilizzati). Gli altri punti (come l’alternanza scuola-lavoro) rappresentano novità trascurabili, per quanto riguarda l’edilizia scolastica, invece, servirebbero 12 miliardi mentre ne viene stanziato solo un terzo (peraltro quasi tutto solo sulla carta). Inoltre sono poco conosciuti i tagli che verranno fatti sulla spesa per l’istruzione: verranno tagliati i compensi aggiuntivi ai Commissari Interni degli esami di stato, ulteriormente i fondi per il contrasto alla dispersione scolastica, subiranno ridimensionamenti il personale amministrativo, il personale ATA e il fondo per il miglioramento dell’offerta formativa e sono stati azzerati esoneri e semiesoneri. L’unica nota positiva è la rinuncia al 5×1000 ai singoli istituti, che sarebbe stato vantaggioso, ovviamente, solo per quelli frequentati da ragazzi con famiglie più agiate. Quindi sostanzialmente la riforma non migliora il sistema scolastico, anzi, ne peggiora alcuni punti. La Buona scuola si rivela un’altra occasione persa, affinchè l’istruzione italiana sia all’altezza, su cui investire e concentrare risorse (“chi taglia sulla cultura cancella il futuro” recitava uno striscione in una della manifestazioni per una scuola diversa) per risolvere problemi da troppo tempo solo ampliati. E pensare che i cacciabombardieri f35 (considerati prioritari in un momento di enorme crisi economica) costeranno 12 miliardi

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L’importanza dell’educazione civica

L’educazione civica (oggi cittadinanza e costituzione) riunisce vari argomenti: l’educazione ambientale (rispetto dell’ambiente), l’educazione stradale (codice della strada), l’educazione sanitaria (regole basilari di pronto soccorso), l’educazione alimentare, lo studio della costituzione italiana e, per esempio, della nostra forma di governo, della composizione del parlamento o della legge elettorale. Il suo scopo è formare un cittadino consapevole dei propri diritti e dei doveri, e punta alla creazione di una cultura legalitaria e responsabile. Oggi è il 23 maggio, e 23 anni fa, precisamente alle 17.58 del 23 maggio 1992, nella strage di Capaci perse la vita il giudice Giovanni Falcone, insieme a sua moglie Francesca Morvillo e tre agenti della scorta, Rocco Dicillo, Vito Schifani e Antonio Montinaro; cito questo per indicare l’importanza del racconto di queste vicende, delle vite di chi si è battuto per la legalità e il modo principale per combattere la mafia è proprio la cultura, l’istruzione e la consapevolezza. Dopo l’introduzione dell’insegnamento dell’educazione civica nel 1958 da parte di Aldo Moro, la stessa fu soppressa nel 1991 (anno in cui inizió un lungo periodo, purtroppo non ancora terminato, di tagli), per mancanza di fondi. Fu reintrodotta con la riforma Gelmini, solo come insegnamento di serie C, infatti non è nemmeno una materia, ma si considera all’interno di storia e geografia, e spesso viene anche scartata. Ora bisognerebbe aumentare l’importanza dell’insegnamento dell’educazione civica, renderla una vera e propria materia, fin dalla scuola primaria, e le ore di lezione devono servire per estirpare le discriminazioni, attraverso l’educazione alla parità di genere e alla parità etnica, così dovrebbero essere insegnati anche i diritti umani e la storia e le motivazioni della nascita dell’Unione Europea. Tutto questo è fondamentale per formare il senso civico delle nuove generazioni, o meglio per rendere gli studenti futuri cittadini responsabili e corretti.

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