La politica fallimentare di solo rigore dell’ex Troika continua ad essere imposta
Il referendum del 5 luglio, in cui ha trionfato il “NO” alle proposte di sola austerity dei creditori, per molte persone avrebbe rafforzato la posizione del capo del governo Alexis Tsipras all’interno della trattativa, o per lo meno era una speranza. Lo scenario del compromesso doloroso (forse dolorosissimo), nonostante il risultato del referendum (che ha irrigidito maggiormente Merkel e co.), che non è stato preso, ingiustamente, in considerazione dai creditori, si è, purtroppo per il popolo greco, concretizzato (come spiegavo quanto fosse probabile in un articolo post οχι). Tsipras ha dovuto per forza cedere alle condizioni, ancora una volta pesanti e ingiuste, dei creditori, che erano state rifiutate dal popolo greco, poichè, incredibilmente, negli ultimi giorni non preoccupava più eccessivamente lo scenario che avrebbe previsto l’uscita della Grecia dall’Euro (l’integralista ministro delle finanze tedesco ha addirittura proposta il Grexit per cinque anni) per chi risiedeva dalla parte opposta del tavolo delle trattative (i capi di governo di 10 stati, altamente irresponsabili, tra cui Belgio, Paesi Bassi, Finlandia e, appunto, Germania non si sarebbero opposti ad un eventuale Grexit e, forse, lo speravano pure) e se il leader di Syriza avesse rifiutato il piano propostogli questa via si sarebbe concretizzata (il capo del governo ellenico ha voluto da subito scartare l’opzione del ritorno alla Dracma per le conseguenze sicuramente peggiori rispetto alle richieste dei creditori). Entrando nel dettaglio, il piano dell’Unione Europea (accordo raggiunto dalle due parti dopo 17 ore di trattativa) prevede un ampio pacchetto di riforme che Tsipras dovrà mettere in campo in soli tre giorni, dall’aumento dell’IVA, anche sui beni di prima necessità al taglio graduale di quella “mini” per le isole e dall’aumento dell’età pensionabile, dal taglio ai contributi statali per l’aumento delle pensioni minime e dal disincentivo al pensionamento anticipato alla privatizzazione della rete elettrica, alla reintroduzione dei licenziamenti collettivi e al forte aumento delle tasse (soprattutto di quelle sulle imprese e sui beni di lusso), tutto ciò in cambio del terzo salvataggio da 86 miliardi e l’eventuale rimodulazione della scadenza del pagamento dei debiti, solo a riforme attuate. Questo piano è l’esatta copia di quelli già imposti, durante gli anni passati, dalla Troika con conseguenti risultati pessimi (dopo i gravi errori economici commessi in passato dalla classe dirigente greca) che, uniti all’incapacità dei governi ellenici di attuare riforme indispensabili, hanno portato alla contrazione del PIL del 25%, al crollo del 33% dei consumi, all’aumento del rapporto debito pubblico/pil dal 112,5% al 180% (mentre lo scopo sarebbe stato contenerlo), all’aumento della disoccupazione dal 9% al 25%, alla riduzione delle pensioni del 48% e dei salari del 37%, all’universalità del sistema sanitario non più garantita, al licenziamento di una miriade di statali e al pagamento dei dipendenti pubblici (coloro che sono scampati ai licenziamenti) addirittura, in alcuni casi, in buoni pasto; potremmo dire che “quando una cura sbagliata continua ad essere somministrata ad un malato grave, quest’ultimo rischia di morire”, infatti le nuove misure rischiano di dare il colpo finale ad un’economia già disastrata. L’Unione Europea continua la propria serie di politiche ingiuste, fondate sul solo e spietato rigore, senza preoccuparsi di crescita e occupazione, e finchè non invertirà rotta, mettendo solidarietà e integrazione al primo posto (con lo scopo finale della creazione degli Stati Uniti d’Europa) è destinata a rimanere inefficiente e a disgregarsi. L’austerity vince ancora (anche se la prima sconfitta, per le proposte, dovrebbe essere l’UE), ma Alexis Tsipras non esce sconfitto (anche se il suo governo rischia di cadere, visto che il presidente del consiglio greco viene accusato da alcuni contestatori di aver tradito il mandato del referendum), perchè ha fatto degli errori ma sicuramente il possibile per evitare una nuova mazzata, alla fine, però, ha dovuto cedere (continuare a portare avanti la linea dello scontro avrebbe portato inevitabilmente al Grexit), costretto da continui ricatti ingiustificabili; forse il risultato del referendum si è rivelato una sorta di vittoria di Pirro ma ha aperto una grande riflessione che ha coinvolto tutto il vecchio continente, ora abbiamo la consapevolezza che la strada per un’altra Europa è lunga e molto tortuosa, però questa esiste e anche il governo italiano guidato da Renzi ha responsabilità se finora questa non è stata percorsa (completamente ininfluente nella situazione greca), così come le ha il principale partito socialdemocratico (o almeno così dovrebbe essere il PSE) guidato da Martin Schulz, che non si è opposto alla linea dell’austerity e della sua connazionale Merkel, anzi si è schierato pesantemente contro a colui che l’ha combattuta, Tsipras. Per ora possiamo rimarcare la nostra solidarietà nei confronti del popolo greco e sperare in colpi di scena che portino ad un’Europa diversa.
dalla parte del progresso AA99