L’attualità della “questione femminile”

“Alcune (nel 1981)  tra le maggiori ingiustizie di cui le donne sono state vittime per secoli erano state da poco cancellate: basterà ricordare che solo da pochi anni (più esattamente solo dal 1969) era stato abrogato l’art.559 del codice penale che puniva l’adulterio come reato. Beninteso, solo se commesso dalla moglie. Il marito infatti, in forza del successivo art. 560, veniva punito solo se teneva una concubina nella casa coniugale o notoriamente altrove. Innovazioni fondamentali erano state introdotte dal nuovo codice di famiglia, dal 1975. Per limitarci ad alcuni esempi: la potestà sui figli, sino a quell’anno solo “patria”, che diventava genitoriale, e dunque, finalmente spettava anche alla madre; la moglie non era più obbligata a seguire il marito ovunque questi decidesse di fissare la propria residenza; mentre prima assumeva il cognome del marito, ora lo aggiunge al proprio… Cose che oggi sembrano scontate, ma allora non lo erano affatto. Ma rimanevano, nei nostri codici, regole inaccettabili, che si faticava a capire perchè si tardasse tanto ad abrogare. Mi limito ad alcuni esempi: fino al 1996, il nostro codice penale, regolando il delitto di “ratto”, ne prevedeva due tipi, puniti con pena diversa a seconda che il ratto fosse “a fine di matrimonio” o “a fine di libidine”. […] Se il rapitore aveva intenzioni matrimoniali, anche qualora la donna non condividesse, la pena era inferiore a quella che avrebbe meritato se l’avesse rapita “a fine di libidine”. […] Non meno inquietanti le regole in materia di violenza sessuale, che sino al 1996 era considerata “delitto contro la moralità pubblica e il buon costume”, e solo in quall’anno venne rubricata come “lesione della libertà personale”. Come se questo non bastasse, perchè si realizzassero gli estremi per questo delitto, era necessario che la violenza si traducesse in “congiunzione carnale” (art.519). […] Per finire, come dimenticare la celebre “causa d’onore”? Fino al 1981, anno in cui venne finalmente abrogato, l’art.587 del codice penale stabiliva che chi uccideva per questa causa “nell’atto in cui scopriva l’illegittima relazione carnale del coniuge, della figlia e della sorella, e nello stato d’ira determinato dall’offesa dell’onor suo e della sua famiglia” non veniva punito come omicida, vale a dire con la reclusione non inferiore a ventun anni o in presenza di aggravante per futili motivi fino all’ergastolo. La pena andava dai tre ai sette anni. […] Gli esempi potrebbero continuare, se passassimo alle discriminazioni, non meno gravi, presenti in altri settori, quali ad esempio il diritto al lavoro. Ma credono che quelli che precedono siano sufficienti a dare un’idea dello sconcerto da cui si veniva presi, in quegli anni, di fronte alle difficoltà e dell’ostilità con cui si scontravano i tentativi di modificare la mentalità di chi continuava a ritenere giustificate quelle regole”. Tratto dal libro “L’ambiguo malanno” di Eva Cantarella.

Questo era lo scenario di assoluta arretratezza, descritto in maniera dettagliata e precisa nel saggio di Eva Cantarella, che caratterizzava l’Italia, in cui fino a pochi anni fa esistevano, appunto, ancora norme incredibilmente discriminatorie nei confronti del sesso femminile (potrei aggiungere al lungo elenco riportato sopra anche l’aborto, cioè la possibilità di interrompere la gravidanza entro i primi tre mesi, illegale fino al 1978). Non possiamo negare che anche oggi, purtroppo, quello femminile venga considerato il sesso debole, rendendo ancora attuale la cosiddetta “questione femminile” (detto da ragazzo che sostiene pari opportunità e l’uguaglianza di genere). Da una ricerca di Vox Populi sul Social network Twitter, finalizzata a creare la mappa italiana dell’intolleranza e durata otto mesi, scopriamo che ben più di un milione e centomila tweet sono stati a sfondo chiaramente sessista (su un milione e ottocentomila tweet, oltre che sessisti, razzisti, omofobi e antisemiti). Discriminazioni che si ripetono ciclicamente, per esempio, dopo accaduti di stupri e abusi sessuali a danno di ragazze minorenni ci sono ancora molte persone che pensano l’idiozia assoluta (mix tra ignoranza e profondo sessismo) che questo avvenga per il vestiario non consono della giovane, il quale, a dir loro, potrebbe provocare e, addirittura, giustificare una violenza. Molto grave anche la situazione sul fronte delle violenze domestiche, spesso dettate da una mentalità malata di superiorità. Se entriamo nel settore del lavoro la situazione di disparità di trattamenti tra donna e uomo è ancora, in varie situazione, evidente; il salario dei lavoratori italiani a parità di competenze e meriti è superiore del 7,3% (più del 16% la media degli stati dell’UE) rispetto a quello delle lavoratrici, che devono lavorare 59 giorni in più per guadagnare come un uomo, ugualmente il divario tra l’occupazione maschile e quella femminile è del 17,6% (qui l’idea medievale della donna che deve stare a casa a fare le pulizie, che è ancora, purtroppo, radicata e imposta in alcune zone, influisce eccome) mentre gli accordi europei di Lisbona vorrebbero l’occupazione femminile al 60% (nei paesi dell’Ocse la media delle donne occupate era nel 2013 del 65%, con l’Italia al 51%, cioè meno ventisei percento rispetto alla Germania). Inoltre è sempre attuale il problema delle dimissioni in bianco, cioè il ricatto del datore di lavoro di costrizione alle dimissioni (dimissioni fatte firmare al momento dell’assunzione da ufficializzare nella tale eventualità) in caso di maternità; secondo il Rapporto annuale dell’Istat più dell’8% delle madri (hanno dichiarato 800 mila donne tra il 2008 e il 2009 tale accaduto nel corso della propria vita) sono state costrette, nella propria carriera, a rassegnare le dimissioni a seguito di gravidanza. Fino all’anno scorso le donne rettori erano solo cinque su settantotto mentre quelle nei consigli d’amministrazione rappresentavano solo il 17%. Anche in ambito politico ci sono varie anomalie: le donne in Parlamento nel ’96 erano il 9%, nella legislatura 2008-2013 circa il 20% e oggi sono il 30,8%; sicuramente un sensibile progresso è innegabile ma non si spiega come sia possibile che quel 20% di uomini in più rispetto a un’esatta metà tra i sessi in Parlamento sia davvero più preparato e capace di donne politicanti. La nuova legge elettorale (pessima per molte ragioni), l’Italicum, prevede (ingiuste) liste bloccate per i capilista, senza quote rosa, così come non è prevista nelle preferenze per eleggere il resto dei parlamentari l’impossibilità più di due uomini su tre preferenze (come era previsto per le elezioni Europee del 2014). L’auspicata “pari opportunità tra i sessi” per entrare in Parlamento non troverebbe ostacoli solo in una legge elettorale (sistema maggioritario o “corretto”) che prevede collegi uninominali, in cui i candidati, ancora meglio se scelti precedentemente attraverso primarie, con quote rosa applicate, obbligatorie all’interno dei singoli soggetti sul territorio, sfidanti, legati al proprio partito o movimento, vengono eletti in ogni singolo collegio. Quindi questo non è assolutamente una questione superata e l’augurio è quello di un interessamento maggiore della politica per velocizzare i passi in avanti.

                          dalla parte del progresso AA99